Recensione Moshi Moshi, Banana Yoshimoto

moshi moshi

Partendo dal presupposto che Banana Yoshimoto ha deciso di prendere, per questo libro, un unico evento (la morte del padre/marito)il tutto sarebbe potuto sfociare in un libro noioso che trita e ritrita sempre attorno allo stesso argomento. Lei invece e’ riuscita a cogliere e seguire il percorso di due persone che , dopo il suicidio del padre e marito, si sono a loro volta annientate ma che appoggiandosi l’una all’altra riescono alla fine a trovare una loro dimensione in quel mondo che sembrava non avesse più nulla da offrirgli. Il libro e’ quindi il racconto di come queste due persone hanno ricominciato a vivere, seguendo pero’ percorsi diversi: la madre riscoprendo quella che non e’ potuta essere durante tutta la vita a causa di una condotta austera che si sentiva di dover tenere per compensare l’animo rock e da artista del marito; la figlia, tormentata invece dall’idea di non esser stata abbastanza, di non aver fatto la differenza quando suo padre aveva preso la decisione di morire con un’altra donna, ricerca attraverso il lavoro e la dedizione il significato della sua esistenza. Entrambe pero’, riusciranno ad affrontare il loro futuro solo dopo aver archiviato tutte quelle domande e paure che appartengono ad un passato troppo difficile da dimenticare.

E’ da apprezzare l’atmosfera che Yoshimoto riesce a creare descrivendo i locali e gli ambienti Giapponesi che mano a mano si incontrano, cogliendone la vera essenza e calore che emanano attraverso i sapori dei vari piatti e l’amore per i dettagli.

Nel complesso non si tratta di un libro leggero ma nemmeno troppo impegnativo, da leggere pero’ con la dovuta attenzione in quanto e’ un libro da perdercisi dentro.

Non e’ un paese per vuoti.

Se ci fosse qualcosa non vuota, qualcosa allora sarebbe vuota. Ma di non vuoto non esiste nulla: e quindi come potrà essere un vuoto? (Nagarjuna)

Cos’e’ il vuoto? Fabio Volo riuscirebbe sicuramente a trovare delle frasi super fighe con parole super grezze per poterlo descrivere nella maniera piu’ giusta e comprensibile da tutti. Io non sono F. V. e quindi piu’ che descriverlo con similitudini e metafore preferisco raccontarlo cosi’ come mi si presenta.

E’ un’esplosione mancata, un big bang al contrario che invece di creare distrugge tutto quello che incontra sul suo percorso. Sono piccole emozioni che non trovano il loro posto e piano piano abbandonano il tuo essere, lasciandoti solo un involucro di ossa e carne dalla quale guardi il mondo che continua a muoversi come se niente fosse. E’ quel momento in cui ti chiedi che senso ha tutto questo indaffararsi e correre verso gli obiettivi piu’ disparati.

Il vuoto lo trovi dietro un vetro in una giornata di pioggia; in una tazza di te o caffe’ ormai vuota, quando la bustina e’ li da sola nel bicchiere e ti guarda aspettando di essere buttata via. Il vuoto e’ la rincorsa prima di qualcosa di nuovo che deve ancora arrivare, quella paura e ansia che in un certo senso ti paralizzano.

Ma e’ anche vero che quando il corpo raggiunge lo stato di pace, allora lo spirito e la mente divengono il vuoto. Il vuoto puo’ quindi creare, perche’ fondamentalmente e’ il primo passo di ogni uomo e donna. Se non hai il vuoto non puoi pensare di riempire quello spazio con altro: le passioni, la cultura, gli interessi sono tutti frutto di quella voragine che prima si crea e che immancabilmente viene poi riempita. E se questo non bastasse, ci si puo’ rifugiare nell’amore di un gatto o un cane che in ogni caso sono sempre il miglior rimedio a tutto.

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